Introduzione
Fra i molti modelli atomici nati da ipotesi dei fisici, uno di quelli che ha avuto maggiore successo, fu il modello di Rutherford, detto anche modello planetario degli elettroni. Tra il 1908 e il 1911 Rutherford, per spiegare il comportamento evidenziato dalle particelle α nel suo famoso esperimento, idealizzò l’atomo come un microscopico sistema solare, in cui gli elettroni, simili a pianeti, ruotano intorno ad una massa positiva che anni dopo fu chiamata nucleo.

Esperimento di Rutherford
L’esperimento di Rutherford
L’esperimento evidenziò che una particella α, anziché procedere diritta o quasi lungo l’iniziale direzione, subiva delle forti deflessioni. Questo mutamento direzionale poteva essere giustificato solo se la particella interagiva fortemente con una distribuzione di cariche positive, non più diluite in tutto il volume atomico, come previsto da Thomson, bensì concentrate in un nucleo centrale piccolo e pesante.
L’atomo può quindi essere considerato un sistema quasi del tutto vuoto in cui le parti impenetrabili che costituiscono il nucleo (le dimensioni sono dell’ordine di 10-15m), sono assai piccole rispetto a quelle penetrabili, rappresentate dall’assenza o quasi di materia (dimensioni dell’ordine di 10-10m).
Per concludere, possiamo notare ancora che dai risultati sperimentali sulla deflessione delle particelle α da parte della materia (carbone, alluminio, oro, ecc..) discende che, essendo l’atomo un sistema elettricamente neutro, il nucleo deve presentare una carica uguale a quella degli elettroni ma di segno opposto.
Conclusione
Il modello atomico di Rutherford presentava delle criticità. Era incompatibile infatti con la teoria dell’elettromagnetismo di Maxwell. Fu necessario il lavoro di Bohr prima e di Schrodingher dopo, con l’utilizzo della meccanica quantistica, per descrivere in maniera più evoluta la costituzione dell’atomo.
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